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Nel 150enario di “Le avventure di ALICE nel paese delle meraviglie“, sono stato invitato alla Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna per una tavola rotonda dedicata ai traduttori italiani del capolavoro di Lewis Carroll. Rileggendo la mia traduzione di “Alice” a distanza di vent’anni dalla sua pubblicazione,
ho scoperto che anche Venezia potrebbe essere considerata una nuova Wonderland, un nuovo paese di “assurdità così grandi da suscitare stupore, non necessariamente ammirato”. Tengo a chiarire, infatti, che “paese delle meraviglie” nel titolo carrolliano non significa tanto “paese di piacevoli sorprese” quanto “paese di sorprese che il più delle volte suscitano la riprovazione della giovane avventuriera”. A Wonderland domina l’anarchia, nessuno va d’accordo con nessuno, non ci sono regole: nella gara di corsa “ciascuno partiva quando voleva e si fermava quando voleva, così che non era facile capire quando finiva la corsa” e quando il Dodo grida all’improvviso “Fine della corsa!”, tutti vengono dichiarati vincitori e meritevoli di ricevere un premio. Anche nella celeberrima partita di croquet regna il caos: “i soldati piegati in due continuavano a rialzarsi e andarsene in altri punti… I giocatori giocavano tutti contemporaneamente, senza aspettare i turni, litigando tutto il tempo e disputandosi il possesso dei porcospini…”. Tutti si comportano in modo disordinato. Il campo è pieno di buche, si utilizzano le carte come porte, porcospini come palle e fenicotteri come mazze. Spesso le porte (le carte) devono assentarsi per decapitare chiunque capiti a tiro alla regina che ne sentenzia la morte…
Alice se ne lamenta con il gatto del Cheshire nei seguenti termini:
“Secondo me barano tutti quanti e fanno un tale chiasso litigando che uno non sente neanche la propria voce… poi sembra che non seguano nessuna regola: almeno, se ci sono delle regole, non ci fa caso nessuno…”
Come dire che ad Alice nemmeno un mondo così assurdamente de-regolato sta bene…
E dire che ha fatto il gran tuffo dal soprasuolo al sottosuolo proprio per scappare dai conformismi della società vittoriana, fin troppo ricca di schemi – anche educativi – e di regole, alcune delle quali davvero melense agli occhi di una bambina vivace, fantasiosa e curiosa come lei (si vedano le filastrocche edificanti di cui nel libro si fa la parodia).
Come a Wonderland, nemmeno a Venezia ci sono regole, chiunque può arrivarci come meglio crede e con qualunque mezzo, comprese maxinavi ipertrofiche che paiono aver addentato la famosa tortina con scritto “EAT ME”, quella che fece crescere Alice a dismisura, e che hanno la stessa compatibilità con la delicata bomboniera lagunare di un ippopotamo in un negozio di cristalli.
Per inciso, proprio due anni fa ebbi modo di paragonare Venezia alla protagonista di un altro classico della letteratura: la Justine del marchese De Sade, in un noir ambientalista intitolato ‘Il gondoliere cinese’. Il romanzo inizia infatti con una lettera inviata al direttore del Gazzettino di Venezia da uno dei due protagonisti, l’artigiano Alvise Forcolin:
[“Gentile direttore, se il marchese De Sade fosse un veneziano del nostro tempo, anziché Justine o le disgrazie della virtù scriverebbe senz’altro Venezia o le disgrazie della virtù. Come Justine, infatti, anche Venezia è bella e virtuosa, ma fatta “zimbello della scelleratezza, bersaglio di tutte le depravazioni, in balia dei gusti più barbari e mostruosi”, costretta agli stupri più inverecondi da parte della cricca di amministratori e speculatori privati che la violano ogni giorno, unicamente interessati al proprio effimero piacere personale Emoticon smile ( = profitto immediato da ottenersi con cementificazioni, trasformazione della Laguna in braccio di mare e via discorrendo)… ]” .
Da buon veneziano, dunque, mi piace evidenziare il tema del LIMITE e delle REGOLE, centrale sia a Venezia sia in Alice: quali limiti [e regole!] darsi, quali schemi accettare, da quali altri uscire e quali altri ancora sperimentare… Ebbene: dopo aver seguito tanti discorsi elettorali, convegni e assemblee, sono arrivato a mettere a fuoco i seguenti cinque punti fermi:
- VENEZIA È LAGUNA (come da manifesto-lenzuolo di Jane Da Mosto )
- UNA LAGUNA NON È UN PORTO PER MAXINAVI
- LA SALVAGUARDIA DELLA LAGUNA È IL PROBLEMA CENTRALE. IN LAGUNA DEVONO ENTRARE SOLO LE NAVI CON ESSA COMPATIBILI. LE ALTRE VADANO ALTROVE, FOSS’ANCHE SOLO FUORI DALLE BARRIERE MOBILI DEL MOSE ALLA BOCCA DI PORTO DI LIDO
- SE SI VUOLE DAVVERO PROMUOVERE LA CULTURA A VENEZIA, VANNO DATE CASE AI GIOVANI E ALLE GIOVANI COPPIE, altrimenti è inutile sognare di poterne raccogliere e tesaurizzare la creatività. (Mia proposta: affitti a un terzo dei rispettivi stipendi, se inferiori a 1500 euro mensili, altrimenti non mangiano: il resto lo mette il comune tagliando su qualsiasi altra voce, ma non sulla POLITICA DELLA CASA: ripopolare Venezia è LA SECONDA priorità assoluta).
- LA PAROLA CHIAVE PER VENEZIA è MANUTENZIONE. Al diavolo le grandi opere inutili e imposte, con buona pace dei mazzettari di professione, che vorremmo tutti vedere marcire in galera. L’unico candidato sindaco che mi pare in grado di sottoscrivere i suddetti cinque punti è … … Be’, ci siamo capiti!”.