COMITATO NO GRANDI NAVI – LAGUNA BENE COMUNE
(www.nograndinavi.it)
Alla Direzione Marittima di Venezia
Pec: dm.venezia@pec.mit.gov.it
Oggetto: Proposta per ottemperare al divieto di transito in Bacino di San Marco e in Canale della Giudecca delle navi di stazza lorda superiore alle 40 mila tonnellate
Venezia, 23 settembre 2013
Il decreto interministeriale del 2 marzo 2012 per la tutela delle aree marine sensibili italiane firmato dagli allora ministri Corrado Clini (Ambiente) e Corrado Passera (Infrastrutture) prevede all’art. 2 il divieto di transito nel Bacino di San Marco e nel Canale della Giudecca delle navi merci e passeggeri di stazza lorda superiore alle 40 mila tonnellate; tale divieto, però, si applica a partire dalla disponibilità di vie di navigazione praticabili alternative a quelle vietate, ed è di fatto inapplicato a oltre un anno dall’adozione del provvedimento.
Il decreto evidentemente contiene in sé una contraddizione che ne impedisce l’attuazione e tutte le alternative finora proposte per darvi seguito contengono rilevanti e reali ostacoli pratici, ambientali, di legge, ai quali chiunque potrà appellarsi perpetuando a tempo indefinito lo stallo, salvo rovesciare la logica del decreto fermando da subito il passaggio delle navi oltre le 40 mila tonnellate e prendendosi poi il tempo per studiare e applicare le alternative.
L’intero corpus della legislazione speciale per Venezia disegna però una cornice coerente e unitaria che deve essere imprescindibile punto di riferimento per ogni intervento sulla città e sulla laguna, proponendosi il recupero morfologico della laguna. In questo contesto, è evidente che soprattutto lo scavo di nuovi canali marittimi navigabili appare in contrasto con i dettati di tale legislazione che tutela l’equilibrio idraulico (art. 1 della legge 16 aprile 1973 n° 171, “Interventi per la salvaguardia di Venezia”), richiede il riequilibrio idrogeologico della laguna, l’arresto ed inversione del processo di degrado del bacino lagunare e l’eliminazione delle cause che lo hanno provocato (art. 3 della legge 29 novembre 1984 n° 798, “Nuovi interventi per la salvaguardia di Venezia”), stabilisce il ripristino della morfologia lagunare ( rt. 3 comma 2 della legge 5 febbraio 1992, “Interventi per la salvaguardia di Venezia e la sua laguna”).
Con tali premesse, le vie alternative richiamate dal decreto non possono essere di navigazione, dato che non esistono e ope legis non esisteranno mai, ma devono essere piuttosto intese come percorsi logici diversi, che consentano l’applicazione del divieto senza controindicazioni ambientali e con la contestuale salvaguardia dell’indotto e dei posti di lavoro. Nelle righe che seguono, formuliamo la nostra proposta consegnandola in modo formale a codesta Direzione Marittima perché la trasmetta al Governo in vista della valutazione interministeriale annunciata dal presidente del Consiglio, Enrico Letta, per il prossimo 1. ottobre.
L’impatto visivo delle navi in Bacino è impressionante: sono evidentemente fuori scala con la città. Ma a chi ha cominciato a temere per il numero e la mole crescenti delle navi è apparso chiaro che ci sono ben altri problemi di cui preoccuparsi: gli effetti idrodinamici provocati dal passaggio delle navi su un tessuto urbano antico, fragile e delicato o sull’ambiente lagunare (dislocano migliaia di tonnellate, quando passano l’acqua nei rii cala d’un colpo di 20 e più centimetri per il risucchio); i rischi per la salute, dato che l’Arpav ha dimostrato che il traffico croceristico è a Venezia il maggior produttore di inquinamento atmosferico: l’emissione di polveri sottili è praticamente pari a quella prodotta dal traffico automobilistico di Mestre (Apice, Common Mediterranean strategy and local practical Actions for the mitigation of Port, Industries and Cities Emissions, Modelli e Metodi per l’indagine, tab. 19 pag. 30), ogni nave inquina come migliaia di automobili, soprattutto quando è all’ormeggio.
Ricordiamo che il tenore di zolfo nel carburante di queste navi è del 3,5% in navigazione e solo dal 20 maggio 2012 è stato ridotto allo 0,1% in laguna com’era da qualche tempo all’ormeggio. Tanto per capire, il tenore di zolfo nel diesel delle automobili è dello 0,001%, cioè 3500 volte inferiore al limite in navigazione e 100 volte inferiore al limite lagunare. L’anidride solforosa trasforma in gesso i marmi dei monumenti veneziani e danneggia malte e intonaci.
Il parlamento europeo, dopo aver valutato che almeno 50 mila persone muoiono ogni anno in Europa a causa dell’inquinamento delle navi, ha votato a fine maggio 2012 una direttiva che imporrà per tutte le navi il limite dello 0,5%, ma solo dal 2020, ed è probabilmente in questa prospettiva che le compagnie da crociera hanno accondisceso con un accordo volontario (Venice Blue Flag 2) al limite dello 0,1% dall’entrata alle bocche di porto, ma è chiaro che se il problema esiste uno Stato avrebbe il dovere di definire un provvedimento che le obblighi a ciò in tutti i porti, e non solo a Venezia, mentre resta insoluto il problema dei controlli, rarissimi e per campione, per il quale si pone in maniera immediata l’esigenza di un protocollo pubblico al quale gli armatori siano obbligati.
L’Autorità Portuale garantisce che l’inquinamento verrà reso nullo all’ormeggio con l’alimentazione elettrica da terra (cold ironing). Al riguardo esiste solo uno studio di fattibilità dell’Enel, non finanziato, per alimentare appena 4 navi delle 9 che a breve la Marittima potrà ospitare, contro le 7 di oggi, mentre la produzione di energia elettrica viene spostata dalle navi alla centrale di Fusina: ovvero, ammesso che il progetto sia realizzato, l’inquinamento prodotto domani sarà identico a quello prodotto oggi. “Come si può vedere – riporta sempre Apice (pag. 51) – il decremento medio delle concentrazioni di PM2.5 risulta attorno all’1% ed interessa in particolare il centro storico. Si osserva che complessivamente nessuno degli interventi di mitigazione ipotizzato
consente di contenere l’effetto dovuto all’incremento dello sviluppo portuale previsto al 2020”.
Ci sono poi l’inquinamento elettromagnetico per i radar sempre accesi e quello marino per le pitture antivegetative delle carene; i rumori assordanti, giorno e notte, delle navi all’ormeggio praticamente a ridosso delle case; le vibrazioni che liquefano i leganti delle malte di case e monumenti; il rischio di incidenti (perdita di rotta, incendi, spandimento di carburante) o di attentati in Bacino San Marco.
C’è poi l’impatto turistico: nel luglio 2011 da sei navi ormeggiate contemporaneamente in Marittima sono sbarcati in città in un solo giorno 35 mila croceristi, che si sono aggiunti ai 60 – 70 mila ospiti presenti quotidianamente in una città il cui numero di abitanti è già sceso sotto la soglia dei 59 mila. Venezia si sta trasformando in un parco tematico, ma se il turismo è ricchezza, come dicono gli operatori, le compagnie di navigazione, l’Autorità portuale, non si capisce come mai la città in quanto tale si stia spegnendo e il Comune debba vendere i suoi più bei palazzi per garantire i servizi.
Lo stesso presidente dell’Autorità Portuale, Paolo Costa, in più occasioni ha riconosciuto che il contributo economico dei croceristi alla città è modesto, mentre la vera ricchezza portata dal crocerismo sarebbe l’indotto. Ma quali sono le cifre? Chi ne guadagna? Quali sono le società? Dove sono localizzate? Quali ne sono i capitali? Che contratti hanno i lavoratori? E dove vivono? Perché se le risposte a queste domande facessero capire che una parte o molto dell’indotto, quale esso sia, va altrove, Venezia sarebbe solo un bene malamente sfruttato.
Nel tempo Autorità Portuale e Venezia Terminal Passeggeri hanno dato al riguardo cifre diverse senza mai rendere pubblici gli studi che le avrebbero determinate, mentre studi indipendenti, come quello del prof. Giuseppe Tattara, già ordinario di Politica Economica all’Università di Ca’ Foscari, hanno portato a risultati molto meno entusiastici, e in ogni caso coloro che prendono per oro colato le valutazioni sui vantaggi economici che il crocerismo porterebbe alla città dovrebbero porsi anche il problema dei suoi costi ambientali, fisici, sociali, che praticamente pareggiano l’indotto (280 milioni di euro all’anno per entrambe le voci).
Non ha senso, dunque, togliere le navi da San Marco mantenendo altrove, nel cuore di un’area ambientalmente fragile e densamente popolata, tutte le criticità connesse al crocerismo e finendo per aggravare lo stato di dissesto della laguna, che è un ambiente artificiale nel quale, per un millennio, gli interventi del governo della Serenissima hanno sfruttato i fenomeni naturali per mantenerne l’equilibrio, garanzia di sopravvivenza della città.
Caduta nel 1797 la Repubblica, saperi e attenzione ambientale si sono persi e si è iniziato un lungo percorso di adattamento della laguna alle esigenze di una moderna portualità che ha finito per rompere un delicato equilibrio: le bocche di porto sono state allargate e approfondite, sono stati scavati canali artificiali profondi e rettilinei, sono stati interrati migliaia di ettari di “barena” col risultato che oggi, se non fosse per la sopravvivenza del catino fisico e dei cordoni dei lidi che la separano dal mare, non si potrebbe più parlare veramente di laguna dal punto di vista morfologico, biologico, idrodinamico. Il Canale dei Petroli ogni giorno divora la laguna, che cent’anni fa aveva ancora oltre 160 km quadrati di “barene”, oggi ridotte a 47 km quadrati, e che aveva una profondità media di 40 cm., mentre ora, per la perdita di circa 750 mila – 1 milione di metri cubi di sedimenti all’anno, è di 1,50 m.. Tra cinquant’anni, se non si porrà mano per davvero al suo recupero morfologico, sarà di 2,50 m. Cioè non ci sarà più una laguna.
La soluzione del problema, dunque, è un percorso che ha per obiettivo l’estromissione dalla laguna delle navi incompatibili col complessivo benessere della città e col recupero morfologico della laguna stessa. La vera alternativa è cambiare modello, rifiutare la corsa al gigantismo che fa solo gli interessi solo delle compagnie da crociera ma non della città. Sul piano istituzionale è inaccettabile che per il Governo le uniche alternative per dare corpo al decreto Clini – Passera siano quelle oggi incidentalmente sul tavolo, al di fuori di un percorso che tenga in considerazione tutti gli aspetti del problema, e non solo il passaggio delle navi davanti a San Marco, e senza valutare tutte le opzioni possibili.
Si applichi, per l’intanto, il divieto di transito in Bacino San Marco e in Canale della Giudecca per le navi oltre le 40 mila tonnellate di stazza lorda, e poi si facciano studi seri, autorevoli, non di parte per definire una soglia di compatibilità fondata su stazze, dislocamento, pescaggio, carburanti puliti, e poi si fissi un limite di sostenibilità turistica complessiva assegnandone una quota invalicabile al crocerismo: indicate queste due precondizioni – compatibilità fisica e sostenibilità turistica – si potrà decidere quali e quante navi potranno continuare a entrare in laguna e venire ad attraccare in Marittima. Se questo cambio di modello e la parziale riconversione della Marittima a ormeggio per yacht e per imbarcazioni da diporto, a ricerca, terziario, residenza, garantiranno l’indotto che la città si aspetta, il problema sarà risolto.
Se, invece, l’indotto verrà giudicato insufficiente e la città riterrà di dover accogliere ancora un certo numero di grandi navi da crociera allora queste dovranno fermarsi fuori dalla bocca di porto, nei modi che un concorso d’idee internazionale aperto ai migliori progettisti del mondo suggerirà, eventualmente coinvolgendo le compagnie armatoriali nei costi dell’operazione, come del resto l’Autorità Portuale sta già immaginando di fare per il terminale off shore al largo di Malamocco per petroli e container.
Silvio Testa,
Portavoce del Comitato
NO Grandi Navi – Laguna Bene Comune